Tra i 10 premiati di quest’anno anche la ricercatrice del Dipartimento di Medicina dei Sistemi
Con i 10 ricercatori premiati quest’anno sono in totale 220 gli assegnatari, tra pubblici e privati, del premio Sif (Società Italiana Farmaco) - Farmindustria (istituito nel 2000), alla presenza di Giorgio Racagni, presidente SIF, Giuseppe Cirino, presidente eletto SIF e di Marcello Cattani, presidente Farmindustria. Una iniziativa volta a promuovere e incoraggiare il lavoro di giovani ricercatrici e ricercatori. Tra loro, Claudia Ceci di “Tor Vergata” con un lavoro frutto della sua attività di ricerca, svolta in qualità di assegnista, presso il laboratorio di Farmacologia guidato dalla prof Grazia Graziani. Con una breve intervista realizzata da Sara Cambi, Claudia Ceci racconta all’Ufficio Stampa di Ateneo il suo lavoro e il riconoscimento dell’attività di ricerca che avviene anche con premiazioni come questa. E fa il punto sulla situazione della ricerca italiana in generale.
D: Qual è la sua attività di ricerca e su quale progetto sta lavorando?
R: La mia attività di ricerca, condotta presso il laboratorio di Farmacologia diretto dalla Prof.ssa Grazia Graziani, è focalizzata sulla caratterizzazione funzionale di un nuovo anticorpo monoclonale, come potenziale strumento terapeutico contro un tumore altamente aggressivo come il melanoma. Inoltre, a partire da questo anticorpo, abbiamo progettato di produrre e testare un prototipo di coniugato anticorpo-farmaco (ADC, antibody-drug conjugate), capace di unire la selettività dei monoclonali con la citotossicità di composti chemioterapici. Contestualmente, stiamo valutando il potenziale antiproliferativo di un composto di derivazione naturale presente nella dieta, l’acido ellagico, contro il carcinoma della vescica.
D: Quindi la sua attività si concentra prevalentemente sul cancro. Si sentono spesso le raccomandazioni alla prevenzione e ai controlli: conferma l'importanza di questa precauzione?
R: Assolutamente, lo stile di vita in primis, insieme alla prevenzione e ai controlli periodici, giocano un ruolo cruciale nel cancro: oltre ad abbassare il rischio di insorgenza del tumore con una corretta alimentazione e con l’attività fisica, intervenire tempestivamente migliora la prognosi al momento della diagnosi, aumentando le chances di successo delle terapie convenzionali.
D: Qual è la situazione "ricerca" in generale nella realtà italiana del momento: è promossa nella giusta maniera? Cosa si potrebbe fare per migliorarla? O, al contrario, è un momento felice?
R: Purtroppo tuttora in Italia una minima parte del PIL è destinata alla ricerca, un settore che pertanto arranca, e il cui motore trainante molto spesso è la passione di coloro che sono lavorativamente nati e cresciuti in questo mondo. Non a caso, riguardo un’area di studio che mi vede coinvolta più da vicino, come la ricerca farmacologica, l’Europa è molto indietro rispetto a Stati Uniti e Cina, per quanto riguarda il numero di nuovi farmaci approvati ogni anno. Molti ricercatori, inclusa me stessa, non possono non considerare quotidianamente la data di scadenza di contratti a tempo determinato. L’arrivo inatteso di un riconoscimento come il Premio SIF-Farmindustria, che sono onorata di aver ricevuto, così come l’istituzione di un fondo a sostegno dei Ricercatori stanziato recentemente dalla Regione Lazio, contribuiscono a non farci sentire completamente abbandonati a noi stessi, ma c’è ancora molto da fare. Ridurre la precarietà percorrendo la strada della meritocrazia dovrebbe essere un imperativo per la ricerca italiana.
D: Ha svolto anche l’attività di insegnamento: come vede i giovani con cui si rapporta? Motivati, disillusi, fiduciosi nel proprio futuro?
R: Grazie alla mia attività di insegnamento, svolta presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata” e l’Unicamillus International Medical University in Rome (dove attualmente ricopro il ruolo di Ricercatore a Tempo Determinato di tipo A), ho la fortuna di rapportarmi con molti giovani, futuri medici, farmacisti, ostetriche, professioni per le quali si richiede una forte vocazione. Pertanto, si scorge molta motivazione nei loro occhi. Molto spesso però, purtroppo, nel loro futuro professionale non vedono l’Italia come paese in cui realizzarsi, e un trasferimento all’estero è visto come inevitabile. Consapevole che la formazione universitaria condotta nel nostro Paese non ha eguali, sarebbe davvero un peccato “donare” menti brillanti e futuri operatori sanitari ad altri paesi.
D: Cosa pensa dell’open science?
R: L’open science è uno strumento prezioso di cui la ricerca scientifica non può fare a meno, dal momento che la condivisione di approcci, metodologie, e soprattutto dati, non può far altro che accelerare il progresso scientifico. In un settore come la ricerca farmacologica facciamo esperienza quotidianamente dell’importanza di una fitta rete di connessione e scambio tra laboratori, enti, figure professionali diverse, e del suo impatto sulla salute umana.
D: La quota delle donne quest’anno è molto importante tra le premiate, lo stesso nei ruoli apicali?
R: Nove su dieci premi SIF-Farmindustria sono stati consegnati a giovani ricercatrici, a volte anche giovani madri, il che è espressione di una ricerca sempre più “rosa”. La stessa presenza femminile è risultata preponderante al Congresso SIF stesso, nell’ambito del quale sono stati consegnati i premi. Basti pensare che la sessione (Cancer Pharmacology) all’interno della quale ho tenuto il mio contributo ha visto l’intervento di 11 ricercatrici e un solo ricercatore. Non si può dire altrettanto per quanto riguarda i ruoli apicali, che ancora, spesso, sono ricoperti da uomini. Credo però che siamo sulla buona strada per arrivare a una piena equiparazione, magari da qui ai prossimi vent'anni tra le stesse premiate potrebbe emergere una figura al vertice delle due istituzioni, SIF e Farmindustria.
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